Storia della brasatura
La brasatura può essere considerata a ragione il più antico metodo per la giunzione dei metalli. Già a partire dal 4000 a.C. l’uomo raccoglieva, nella Mesopotamia, metalli come oro, argento e rame portandoli in fusione con un rudimentale forno a fuoco realizzando la primordiale forma di metallurgia dell’umanità.
Le prime giunzioni di due parti metalliche come arcaico processo di brasatura sono collocabili tra il 4000 e il 3400 a.C. grazie alla civiltà dei Sumeri per la fabbricazione di orecchini e monili attraverso l’uso sapiente del fuoco a base di carbone e soffiando dentro ad una canna per ravvivare le braci.
Artefatti ritrovati nelle tombe del Medio Oriente, Egitto e Grecia rivelano che la brasatura era ampiamente utilizzata. Pitture murali risalenti alla quinta dinastia (2500 a.C.) nelle tombe di Tiat Saqqara rappresentano un artigiano che soffia sul fuoco tramite una canna. Più celebre è la pittura murale risalente tra il 1480 e il 1472 a.C. nella tomba di Rekh-mi-Re a Tebe in Egitto che rappresenta un artigiano intento a lavorare dell’oro con pinze soffiando dentro una canna su di un fuoco prodotto da carbone.
Nell’arco dei 3000 anni successivi la brasatura si è sviluppata attraverso continue prove ed errori che hanno portato gli artigiani a sperimentare diverse composizioni di leghe formate da oro, argento e rame, arrivando ad impiegare la cosiddetta step brazing, ovvero un metodo per unire giunti complessi in sequenza utilizzando leghe con diverso punto di fusione. L’uso del disossidante era sconosciuto mentre era diffusa la pratica di utilizzare un forno per portare in fusione il materiale d’apporto evitando di soffiare sulle braci con una canna.
Vari giunti brasati con una lega composta da 25% argento e 75% oro, risalenti al 2500 a.C., sono stati ritrovati nella tomba della regina Pu-abi presso l’antica città sumera di Ur nella bassa Mesopotamia. Nella città di Troia in Grecia è stato scoperto un recipiente per bere a doppia imboccatura con manici separati risalente al 2200 a.C. brasato con una sottile lamina di oro. Al 1800 a.C. risalgono piccole sfingi fabbricate da artigiani egiziani utilizzando il processo di brasatura mentre altri oggetti, come ad esempio parti di bottoni, sono state brasate impiegando una lega di rame-argento e dell’oro. Questi manufatti testimoniano come la brasatura fosse una pratica presente presso diverse civiltà e come si sia diffusa anche al di fuori dell’area tra i fiumi Tigri ed Eufrate, culla dell’umanità.
Nelle civiltà greca e romana diversi autori come Omero, Ippocrate, Plinio, Teofrasto, Aristotele, Strabone, Dioscoride, Virgilio e Vitruvio hanno citato nei loro scritti il processo di brasatura. In particolare, Plinio nel 60 d.C., nel “Historia Naturalis”, descrive la brasatura dell’oro e i sali necessari per la sua buona riuscita. Pitture murali scoperte presso gli scavi della città di Pompei, sepolta dall’eruzione del Vesuvio del 79 d.C., hanno evidenziato come al tempo fossero presenti attività economiche di fusione e lavorazione dell’oro in forni e con canne di insufflaggio.
Nel IX secolo in Europa diversi manoscritti come “Mappa Clavicula” e “Compositiones ad tingenda” riportano alcuni dettagli sulla brasatura ma, solo nel 1125 d.C., il monaco tedesco Teofilo descrive accuratamente nel “De Diversis Artibus” la brasatura dell’oro e la preparazione del disossidante con cenere di faggio, lardo e sali di rame. Nel 1568 d.C. a Firenze Benvenuto Cellini famoso scultore, orafo, scrittore, argentiere e artista italiano, scrisse un “Trattato sull’oreficeria” nel quale descrisse le fasi e le componenti del processo di brasatura, in particolare l’uso di leghe oro-rame-argento e disossidante composto da verderame-borace ed acqua.
Joseph Moxon fu il primo ad introdurre il termine saldatura nel 1599 e a distinguere chiaramente la saldatura dalla brasatura nella sua opera “Mechanick Exercises” nel 1677. Descrisse come solo i fabbri conoscessero la differenza tra i due processi e impiegassero la brasatura per i giunti piccoli e fini, i quali soffrivano il processo di saldatura. Nel 1766 il chimico e fisico scozzese Henry Cavendish descrisse le proprietà chimiche e fisiche dell’idrogeno mentre nel 1774 Joseph Priestley fu riconosciuto dal pubblico come lo scopritore dell’ossigeno, anche se nella realtà il primo a scoprirlo suCarl Wihelm Scheele nel 1771. Con questi due gas nel 1790 fu sperimentato il primo strumento simile ad un cannello ad idrogeno-ossigeno, cannello che fu poi inventato dallo statunitense Robert Hare nel 1801. La scoperta del cannello fu un passo fondamentale per il processo di brasatura, in quanto era possibile dosare con maggior precisione l’apporto del calore sui giunti e disporre di una fonte di riscaldamento con disponibilità immediata.
Nel 1836 fu scoperto accidentalmente l’acetilene da parte del chimico ingleseEdmund Davy e successivamente nel 1860 ne fu definita la formula da parte del chimico francese Pierre Eugène Marcelin Berthelot, ma solo alla fine del 1800 fu scoperto il modo di produrlo a livello industriale e a stoccarlo in grande quantità all’interno di bombole appositamente progettate. Nel 1900 i francesi Edmond Fouche e Charles Picard inventarono il cannello ossi-acetilene, nel quale la combustione di ossigeno con acetilene genera una fiamma che raggiunge la temperatura più alta (3600°C) rispetto a tutte le altre miscelazioni ossi-gas.
Grazie agli esperimenti dell’inglese Charles Hyde nel 1910 nacque la prima forma di pasta brasante composta da striscioline o polvere di rame miscelate in una pasta da spalmare sulle superfici di contatto dei giunti. I pezzi erano poi riscaldati in un forno ad idrogeno permettendo così al rame di fluire per capillarità nel gap della giunzione. Durante la Prima Guerra mondiale l’attenzione per l’unione dei metalli privilegiò la saldatura per le produzioni di massa, mentre la brasatura era riservata a piccoli componenti brasati a cannello o in forno. Con lo sviluppo della brasatura in forno con atmosfera ad idrogeno del 1920 fu possibile evitare l’uso del disossidante e ugualmente realizzare produzioni di massa.
Negli anni ’30 vi fu la fondamentale invenzione, coperta da brevetto inglese del 1934, chiamato “Processo Littleton” che permetteva di ottenere una temperatura all’interno del forno in atmosfera di 850 °C. Nel 1948 Robert L. Peaslee scoprì il fenomeno denominato “Diffusion brazing” in cui le leghe d’argento alto-fondenti come la 85Ag-15Mn (intervallo di fusione 960-970 °C) impiegate nei motori a reazione, non resistevano alla temperatura di esercizio di 1093 °C. Provando ad utilizzare la lega a base Ni-Cr-Si con temperatura di fusione di 1083 °C e dopo alcuni tests si accorse che le rotture interessavano la parte di metallo base e non quella brasata con tale lega. Lo sviluppo di questo tipo di leghe proseguì tanto che nel 1949 fu prodotta la lega BNi-1, impiegata per brasature ad alta temperatura tramite “Diffusion brazing” e nel 1952 la BNi-2 per sopperire a problemi di ossidazione del molibdeno per la marina statunitense.
L’American Welding Society fondata nel 1919, per promuovere la scienza, la tecnologia e l’applicazione della saldatura e dei processi di giunzione e taglio compresa la brasatura, pubblicò la prima edizione del “Brazing Manual” che definiva i criteri di accettazione dei giunti brasati. In seguito nell’edizione del 1963 si definirono più accuratamente le dimensioni del gap dei giunti. Sempre nel 1963 grazie a dei test di resistenza su giunti brasati l’AWS pubblicò lo standard AWS C3.2-63 ovvero “Standard Method for Evaluating the Strength of brazed Joints”.
Dagli anni ’60 in poi sono state sviluppate diverse nuove composizioni di leghe brasanti e molte di esse sono presenti nella norma ISO17672. A seguito dell’impennata del prezzo dell’Ag degli anni 2011 e 2012 in Germania sono state sviluppate nuove composizioni di leghe brasanti a minor contenuto di Ag (Ag-Cu-Zn-Mn-Sn-Si; Ag-Cu-Zn-Mn-Si-In; Ag-Cu-Zn-Mn-Ni-In) con prestazioni e temperatura di brasatura similari alle leghe a base Ag tradizionali (Ag-Cu-Zn-Sn e Ag-Cu-Zn-Mn-Ni) grazie all’impiego della giusta percentuale di metalli più basso fondenti come Mn, In e Sn.
Negli ultimi anni lo sviluppo tecnologico nel campo della brasatura si è orientato verso l’automazione del processo di brasatura con l’utilizzo di robot, leghe in formato di anelli rivestiti di disossidante, fili animati di disossidante oppure paste dosabili in automatico. Inoltre, la sicurezza nell’utilizzo dei prodotti grazie al regolamento Reach, ha portato in Europa, a vietare il Cadmio nella composizione delle leghe brasanti e a classificare quasi tutti i composti del boro presenti nei disossidanti come teratogeni o tossici.
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